Sisters On Trip: finalmente un blog, un mio grande sogno!
Quasi non ci credo ancora, mentre scrivo: eppure è così, stiamo iniziando questo nostro viaggio e non vedo l’ora di farvi compagnia, insieme a Lau, Vicky e Vale.
“Un viaggio ha senso solo…” sì, certo, “senza ritorno se non in volo, senza fermate nè confini, solo orizzonti neanche troppo lontani” (Dio benedica Gianluca per averci fatto sognare con questa canzone).
Non solo, però: ha senso, per me, se accompagnato da una storia. Quella di chi viaggia, quella che si vorrà raccontare, quella che si vorrà portare con sé.
Per questo vi parlerò di libri, perché “Il mondo è un libro e chi non viaggia ne conosce solo una pagina” – citazione di Sant’Agostino e Grignani nello stesso testo, notate la finezza.
Non potevo, allora, che partire parlando delle “sorelle di viaggio” che ci hanno preceduto. Quale libro migliore, per farlo, che “Storie della buonanotte per bambine ribelli” di Francesca Cavallo e Elena Favilli?
Grazie a questo libro ho scoperto donne che con i loro viaggi hanno aperto la strada ad altre, fatto la storia e scoperto luoghi ignoti.
Donne come Grace O’Malley, Jacquotte Delahaye e Anne Bonny, che hanno solcato i mari con le loro navi: divise da un Oceano e qualche secolo, accomunate dai folti capelli rossi, dal carisma e dalla leggenda che le avvolge. «Le ragazze non possono fare i marinai; e poi, i tuoi capelli si impiglierebbero nel sartiame» diceva il padre alla piccola Grace, che nel 1500 osservava il mare dalla scogliera del villaggio irlandese in cui vivevano; anni dopo sua figlia respinse un gruppo di pirati, prima di diventarlo lei stessa ed avere una flotta tutta sua. Jacquotte divenne una piratessa per mantenere se stessa e il fratellino dopo la morte dei genitori; giovanissima, si ritrovò a capo di centinaia di uomini e insieme all’amica Anne Dieu-le-Veut dominò i Caraibi. Anne Bonny (guarda tu il destino scritto in alcuni nomi) crebbe tra i pirati nelle taverne irlandesi, finché lo divenne lei stessa: con l’amica Mary Read dominarono i mari a bordo della loro nave, la “Vendetta”.
Per mare ha viaggiato anche Jeanne Baret, partita quasi per caso dalla Francia e diventata la prima donna a circumnavigare il globo: lo studioso di cui era governante – Commerson – era stato chiamato alla volta del Nuovo Mondo per identificare e studiare nuove specie di piante; malato, necessitava di cure e così Jeanne lo seguì, travestita da uomo (a cavallo tra 1700 e 1800 alle donne non era consentito salire a bordo delle navi francesi. Nei mesi successivi Jeanne, instancabile, aiutò e poi sostituì Commerson nella ricerca e fu lei a scoprire, a Rio de Janeiro, la bouganvillea: questa è una delle mie piante preferite, per cui capirete l’emozione nel conoscere questa storia.
Esplorare nuove terre era invece il sogno di Mary Kingsley, che fin da piccola trascorreva il proprio tempo leggendo libri che parlavano di paesi lontani. Alla fine del 1800 partì dal Regno Unito con destinazione l’Africa occidentale, dove visse a lungo, spostandosi di villaggio in villaggio, studiando le comunità locali e scalando – prima donna a farlo – il monte Camerun. Le sue ricerche furono le prime ad intaccare gli stereotipi razzisti divulgati fino ad allora. Così come Mary si sentì dire che quel viaggio sarebbe stato pericoloso e inadatto ad una donna, così Lydia Huayllas e le sue amiche furono derise dai mariti alpinisti – a cui quotidianamente preparavano cibo e e vestiti prima delle spedizioni – quando vollero cimentarsi nelle scalate a loro volta. Nonostante ciò, decisero di indossare scarponi e ramponi sotto le “cholitas” (le gonne colorate tipiche boliviane) e, abbigliate così, raggiunsero una vetta dopo l’altra.
A “conquistare” la strada fu, invece Bertha Benz, moglie e socia in affari dell’inventore dell’automobile Karl Benz, che nel 1888 fu la prima persona al mondo a guidare un’automobile sulla lunga distanza: quella inventata dal marito all’inizio non fu un vero successo economico e così Bertha decise – percorrendo 194 chilometri – di dimostrare che il Benz Patent Motorwagen Nr. 3 poteva sostenere spostamenti anche lunghi. La Bertha Benz Memorial Route è diventata una strada turistica che consente, oggi, di percorrere lo stesso tragitto che scelse lei allora. Il suo fu, di fatto, il primo viaggio “on the road” … e per questo abbiamo deciso che la cara Bertha sarà la “madrina” di questo nostro blog.
“Sky is the limit”,si dice, ma alcune di queste “bambine” quel limite lo hanno raggiunto e superato: Valentina, Mae, Lilian, Amelia. Appassionata di volo e lanci con il paracadute, quando la Russia iniziò a selezionare cosmonaute vide il suo sogno più vicino: Valentina Tereskova è stata la prima donna ad andare nello spazio. Nata il 6 marzo 1937, attende tuttora di andare su Marte (voleva offrirsi volontaria per un viaggio di sola andata). A bordo di uno shuttle salì, qualche decennio dopo, Mae Jameson, che nella sua vita aveva studiato ingegneria chimica, cultura afroamericana e medicina; statunitense, imparò russo, swhaili e giapponese; fu volontaria in Cambogia e Sierra Leone; entrò alla NASA e fu la prima donna afroamericana ad andare nello spazio; una volta tornata, fondò un’azienda che usa i satelliti per migliorare la situazione sanitaria in Africa.
Le meraviglie dell’universo hanno sempre accompagnato anche la “nostra” Margherita Hack: nata in una via di Firenze denominata “Via delle Cento Stelle”, non avrebbe potuto avere destino diverso che non quello di diventare un’astrofisica di importanza mondiale. I suoi “viaggi” tra le stelle la portarono ad altri viaggi, in tutto il mondo, e ad avere un asteroide che porta il suo nome!
Con “la testa tra le nuvole” erano anche Lilian Bland e Amelia Earhart: la prima costruì da sé prima un biplano, poi un aliante; la seconda risparmiò a sufficienza per comprare un aeroplano giallo, che battezzò “Il Canarino”. Lilian viveva in Irlanda, Amelia – prima donna a sorvolare l’Oceano Atlantico in solitaria – in Irlanda arrivò, dagli States, a conclusione del suo volo. Lilian progettò, costruì e pilotò il primo aereo a motore d’Irlanda, il “Mayfly” (perchè, diceva, “It may fly ir it may not”); Amelia voleva diventare la prima donna a fare il giro del mondo in aeroplano, ma, durante l’impresa, ad un tratto scomparve dai radar. Scrisse, prima di partire: «Sono molto consapevole dei rischi. Voglio farlo perché voglio farlo. Le donne devono tentare di compiere le stesse imprese che hanno tentato gli uomini. Se falliscono, il loro fallimento dovrà essere una sfida per le altre donne».
Il testimone è stato raccolto, che ne dite?