Vi è mai capitato di innamorarvi di un luogo, di sentirlo “vostro”, senza averlo mai visitato?
A me sì, è questo luogo è Napoli.
Ci sono stata solo di passaggio, anni fa, per una mezza giornata. Allora è scattata una scintilla, ma l’amore per questa città è nato dopo, soprattutto grazie ai libri.
“Magari domani resto” di Lorenzo Marone, per primo e su tutti.
“Nel nostro Paese, per fortuna, le donne fanno ciò che vogliono (almeno nella maggior parte dei casi), perché, per fortuna, non esistono leggi tanto retrograde, stupide e maschiliste. E pure se esistessero, nel mio rione, per fortuna, nessuna femmena le rispetterebbe; qui i divieti non sono visti di buon occhio, al più si accettano i suggerimenti. Siamo a Napoli, Quartieri Spagnoli. Io vivo qui. Il mio nome è Luce. E sono donna”
Capite bene che un tale incipit non poteva lasciarmi indifferente. Se è piaciuto anche a voi, sappiate che il resto è meglio ancora.
Muoversi con Luce tra le strade di Napoli, affacciarsi dalla sua finestra sulle vie dei Quartieri, scoprire nuove case e nuovi cortili, raggiungere la passeggiata di via Toledo e inciampare in un artista di strada: un viaggio che mi ha fatto sentire lì e che ha scatenato in me un’irrefrenabile voglia di viverla, quella città.
Ripensandoci, poi, mi sono tornati alla mente tanti ricordi, connessi a Napoli – forse una sorta di segno o di legame innato: gli sketch de “La Smorfia” riproposti dai miei genitori, che comprarono la videocassetta del trio (tuttora credo non ci sia nulla che mi abbia fatto ridere come “L’annunciazione”); “Natale in casa Cupiello” di Eduardo De Filippo e i film di Totò, visti in tv; “Fortapàsc” di Marco Risi con Libero De Rienzo; “Se torno” del Collettivo Sikozel.
Mentre Luce viveva la sua vita e attraversava la sua città, io le ero accanto e nella mia mente risuonavano Cu ‘mme e ‘A città ‘e Pulecenella: non che Napul’è o – più di recente – Tu t’e scurdat’ ‘e me non mi emozionino, ma quando penso a Napoli la mia radio interiore si sintonizza sulle altre.
È impossibile non amare Luce, che ho visto molto vicina per tanti aspetti – al fratello che le dice «Secondo me saresti una buona madre. Anzi, perché non ti sbrighi e ne fai uno. Di figlio intendo» risponde, come faccio io di solito: «E sì che sono abituata sempre cavarmela da sola, ma stavolta mi manca un requisito fondamentale» – ma che lei sia immersa in Napoli è ciò che più ancora mi ha fatto amare “Magari domani resto” e, di conseguenza, Lorenzo Marone. Non in senso letterale, eh (metti caso che legga e mi prenda per una maniaca), ma letterario.
Non potevo dunque sottrarmi alla lettura di altri suoi libri, che hanno avuto su di me – e su tanti, credo –un effetto potentissimo e struggente. Napoli è sempre presente, ogni volta uguale e diversa, ogni volta più affascinante. “La tentazione di essere felici” racconta una storia che, come quella di Luce, è entrata in me; “Un ragazzo normale” riporta alla memoria una storia che tutti dovremmo ricordare – e in cui io mi sono imbattuta diverse volte – e tratteggia una Napoli ancora diversa, quella degli anni Ottanta.
Con questi romanzi ho iniziato, più o meno consapevolmente, un viaggio verso e dentro Napoli, cercando di conoscerla e immaginarla oggi e indietro nel tempo.
Già, perché attraverso i Quartieri, via Toledo, il Vomero, Mergellina e molte altre strade mi hanno accompagnato anche i ragazzi de “La paranza dei bambini”, Lila e Lenù de “L’amica geniale” e il Commissario Ricciardi dei romanzi di Maurizio de Giovanni.
“Non sono le giornate che si allungano, il sole che si fa maturo, o il vento che si fa leggero a ricordarti che sta arrivando ‘a stagione, l’estate, a Napoli. No. È la puzza di fritto”: a parlare è sempre Luce, ma io vorrei vedere quel sole, sentire quel vento e annusare quell’odore, cullata dalla musica della lingua napoletana.
Il regalo di compleanno per i miei primi quarant’anni è un viaggio.
La destinazione? Provate ad indovinare.