Febbraio 1986 o giù di lì: il mio primo ricordo di Venezia risale ad allora e no, non eravamo in gita in città per il Carnevale, bensì per la mostra dei Fenici a Palazzo Reale.
Testimonianza di allora sono: il catalogo della mostra (un tomo di dimensioni spropositate), la locandina – bellissima – che campeggia ancora all’ingresso di casa dei miei e qualche foto tipicamente da turisti in cui io, sebbene stanchissima per la coda di ore che avevamo affrontato, riuscivo ad accennare pose quasi da diva con l’occhialetto (vedi evidenza fotografica).
Se il primo ricordo di Venezia porta con sè qualche nota stonata, quelli successivi sono sempre legati a momenti divertenti e appassionanti.
La prima gita in autonomia con le compagne di scuola a quindici anni, ad esempio: quella volta l’occasione era stata la mostra dedicata ai Greci, che in quanto studentesse del Regio Liceo Alessandro Volta non potevamo perderci, approfittando però anche per fare il viaggio insieme.
Al netto del treno che stavamo per perdere, al ritorno, lo ricordo come uno dei momenti più entusiasmanti della mia adolescenza, ed è anche per questo che, sebbene Venezia sia “bella, ma non ci vivrei”, mi è rimasta fin da allora nel cuore.
Anni dopo, un fine settimana romantico con il fidanzato di allora: indubbiamente l’atmosfera giusta, peccato che poi la storia sia finita, quindi forse il leggendario romanticismo della città non ci ha contagiato. E ancora, un viaggetto con le mie amiche Valeria, Valentina e Cristina, con le quali andammo a trovare Anna, che si era trasferita da poco a Padova e in quei giorni ci iniziò alle bellezze del Veneto e ai cicchetti tra i vicoli di Venezia.
Sono passati circa dieci anni e a Venezia non sono più tornata, complici i “Ci sono già stata, vado altrove”, “In questo periodo c’è troppo affollamento” et similia.
Non ho ancora provato, dunque, l’emozione di girare la città durante il Carnevale o di farmi sconvolgere dal turbinio che la caratterizza nei giorni del Festival del Cinema. Non potevo, quindi, non vedere un segno del destino nella proposta delle libraie della Ubik di Como di presentare, un paio di anni fa, il libro “Chiedi alla notte” di Antonella Boralevi, ambientato proprio nella città di San Marco.
Grazie ad Emma e Alfio, che nel romanzo si ritrovano – dopo essere già stati protagonisti de “La bambina nel buio” – e tornano a vivere la loro storia tra le calli e i palazzi, tra misteri e gialli, mi sono addentrata nella luce e nel buio di Venezia, immaginando i tanti luoghi che, da turista, difficilmente si scoprono.
Accompagnare Alfio nelle sue indagini, seguire Emma nei suoi incontri, vederli insieme nel “loro” bar è pura immersione nei suoni, nelle immagini, negli odori di Venezia. Grazie ad Antonella Boralevi chi legge “Chiedi alla notte” può affacciarsi con i personaggi dal tetto del Palazzo del Cinema e sfilare sul Red Carpet dall’Hotel Excelsior, muovendosi nella folla assiepata al Lido; può scivolare lungo i canali e sentire il soffio dell’aria e ascoltare il rumore dell’acqua che si muovono.
Alfio e Emma si sono scontrati, incontrati, amati, evitati e ritrovati in freddi di giorni di pioggia e assolate giornate, dentro palazzi fastosi e dietro angoli nascosti della città.
La sensazione- quasi fisica – di eccitazione mista a timore ha accompagnato me insieme a Emma all’arrivo alla Furibonda in Giudecca, e con lei ho respirato l’atmosfera d’altri tempi dell’Harry’s Bar e del Caffe` Florian, ma anche del piccolo bar anonimo in cui le mani sue e di Alfio si sfiorano.
Mi rendo conto che ora le mie aspettative si siano di molto elevate, ma so che Venezia non le deluderà, quando sarà il momento tornare.